Senzapensione

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Effetti della pensione del futuro

giovedì 1 settembre 2011

15 anni 6 mesi e … 1 giorno


15 anni 6 mesi e 1 giorno, quanto ancora bastava negli anni 80 per andare in pensione. Quanto bastava per insegnanti di scuola elementare, media e superiore per maturare una pensione che oggi vale circa 800 euro al mese. Quanto bastava per chi nel pubblico, durante quegli anni, ha magari pure svolto, in aggiunta all’insegnamento, l’attività professionale di avvocato, commercialista, ingegnere, architetto etc…, perché, come si sa, l’arte e la scienza sono libere, ed è libero il loro insegnamento.
Un privilegio, quello della pensione dopo 15 anni di lavoro, la cui enormità è oggi tanto più evidente di fronte alle decine, se non centinaia, di migliaia di precari della scuola in annosa attesa di un posto di ruolo.
Privilegi, si dirà, di un tempo. In realtà, non è cosi. E non solo perché la Regione Sicilia consente ai suoi dipendenti di andare ancora in pensione con soli 25 anni di lavoro ma perché le pensioni di tutti quanti sono andati in pensione sino a non molti anni fa con 15, 20, 25, 30 anni di lavoro e con il sistema retributivo, basato cioè sull’ultimo stipendio percepito, oggi le paghiamo noi, le paghiamo da molto tempo e per molto tempo le pagheremo ancora, fortuna loro.
A questi privilegiati, dalle pensioni rivalutate base istat e che formano lo zoccolo duro delle principali organizzazioni sindacali, disposte a parlare di pensione di chi oggi lavora già da 30 anni, ma non di quelle di chi già ne gode da venti o trenta anni e con molti meno anni di lavoro alle spalle, a questi privilegiati, si diceva, vanno oggi chiesti sacrifici e contributi di solidarietà.
Non a chi, dopo più di 40 anni di lavoro ci andrà, grazie al sistema contributivo ed al progressivo sgretolamento degli indici di rivalutazione, con una pensione non molto diversa dall’attuale assegno sociale riconosciuto agli indigenti.
Certo, c’è la questione dei diritti quesiti. Una volta acquisito un certo diritto, nel nostro ordinamento la persona che ne beneficia lo mantiene.
Un nobile e, in condizioni normali, giusto principio.
Derogato però con la riforma Dini che nel 1995 ha ritenuto di riconoscere ad alcun lavoratori questo principio e ad altri no.
E dunque, in condizioni non normali di crisi forse epocale, perché non chiedere ai privilegiati di un tempo un minimo sacrificio. Perché non dare una occhiata al reddito familiare delle pensioni baby, perché non sbocconcellare qualche cosa alle pensioni superiori ai 2000-2500 euro maturate con il sistema retributivo e godute già da anni?
Non sono forse i tartassati lavoratori di oggi a sostenere tutto il sistema pensionistico? Non meritano forse i futuri pensionati di domani e quelli di dopodomani una prospettiva certa, ragionevole ed onesta di fronte al contributo mensile lasciato sul campo?
Non è forse giunta l’ora ed il tempo per un nuovo patto sociale prima che sia troppo tardi, prima che la ribellione monti ed il conflitto fra chi ha avuto e chi non avrà diventi insanabile?
Invece NO! La risposta del Governo, del parlamento nel suo complesso e delle parti sociali non prevede minimamente di considerare la questione, se non in una ottica di peggioramento delle condizioni di chi oggi paga le pensioni degli altri.
E, allora, non resta che diventar padroni del proprio contributo!

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